La fotografia nasce con lunghi tempi d’esposizione che oggi diremmo lunghi: nei dieci minuti necessari a impressionare la celeberrima Boulevard du Temple di Daguerre, le persone per strada camminavano troppo velocemente per lasciare traccia del proprio passaggio; solo la scena del lustrascarpe, relativamente statica, impressionava l’argento.
Sin dalle origini del mezzo le potenzialità espressive e documentative delle lunghe esposizioni sono state ampiamente investigate e le sperimentazioni di Bragaglia hanno fatto scuola; le scie lasciate dai corpi in movimento durante l'esposizione costituiscono una sorta di cifra stilistica tipica di questo approccio.
Con le luci stroboscopiche le scie scompaiono per lasciare posto ad una futuristica sequenza di impressioni sovrapposte, come nell’opera di Gjon Mili, ma va notato che ad essere rappresentata è comunque la stessa e unica scena. Le luci stroboscopiche, pur provenendo da fonti intermittenti, ogni volta illuminano l’intera scena: scandiscono il tempo, non lo spazio.
Anche in epoca contemporanea non mancano le ricerche visuali volte a valorizzare il potenziale si potrebbe dire pittorico del tempo d'esposizione espanso, come ad esempio l'opera di Bill Wadman. Tuttavia anche in questo caso l'azione è unica e continua, non viene sfruttato il potenziale del buio, della possibile fase cieca durante l'esposizione.